Più
di un’alleanza meno di un’unione
Di
Carlo Pelanda (3-3-2009)
La richiesta
ungherese, nel vertice europeo di Bruxelles tra 27 governi, di ottenere un
aiuto areale e massiccio dalla Ue per i Paesi orientali disastrati è stato respinto con
qualche buona ragione da quelli occidentali. Non possiamo rischiare di creare
un ghetto, cifre esagerate (Merkel). L’aiuto verrà dato caso per caso, selettivamente. Ma tale risposta
non è quella che ci aspetta da un’Europa in via di integrazione.
Cosa è diventata la
Ue?
Resta più di
un’alleanza, ma è ormai molto meno di un’unione. E’ in bilico tra modello di Europa della nazioni e
confederale, sempre più orientata verso il primo, pertanto in fase di
disintegrazione. Per questo molti analisti temono che
non possa resistere allo stress dato dalla crisi. La zona euro, 17 Paesi su 27,
appare più coordinata e solida per gli obblighi coordinativi per la stabilità
monetaria. Ma all’euro manca il “capitale politico”, cioè
un governo unico europeo che possa bilanciare le asimmetrie locali generate
dalla politica monetaria unica e aiutare
le singole nazioni con la potenza di un bilancio statale unico europeo. Non
solo. Il mantenimento della sovranità nazionale sui debiti li rende diversi per
affidabilità, fatto dirompente nell’ambito della stessa moneta. Soprattutto, la
mancanza di un governo unico costringe la Bce ad esercitare una
politica monetaria molto restrittiva che mette in difficoltà i Paesi ad
economia debole. Grecia e Portogallo per motivi strutturali di debolezza economica,
L’Irlanda a causa dello sconquasso della crisi, l’Italia economia forte, ma con
debito mostruoso che la indebolisce, fanno fatica a
restare nell’euro. Così la
Spagna, meno indebitata, ma con una economia
devastata dalla recessione. La Polonia, i Paesi baltici, l’Islanda –
solo associata indirettamente alla Ue – Ungheria ed altri orientali vorrebbero
accelerare l’entrata dell’euro perché la crisi ha affossato le loro monete
facendone precipitare il cambio in relazione all’euro, pur questo non fortissimo.
Ma, in relazione a quelle, è immensamente più forte e
come tale scambiato. Il problema è che gli attori di mercato nei Paesi
orientali hanno assunto debiti in euro da ripagare con monete che se restano
svalutate li manderanno in bancarotta. Comprese le banche creditrici, tra cui
le più esposte sono le italiane e le austriache,
parecchie anche le tedesche. L’aggancio all’euro è quindi vitale per i cugini
orientali. Ma la Bce lo vieterà per non
indebolire ancor più la moneta. La Germania non ha intenzione di passare
al modello confederale da quello di alleanza per evitare, in quanto più ricca,
di pagare di più per gli altri e di avere meno per i tedeschi. Per questo, in
sostanza, si è preferito attivare aiuti selettivi per i Paesi inguaiati
piuttosto che cambiare architettura europea. Potrà reggere tale scelta? Forse sì perché nessuno ha intenzione di sciogliere l’Europa pur
diluita. Inoltre la Germania deve finanziare la stabilità
ad oriente per non pagarne il prezzo in casa. Qualcosa darà. Ma gli interventi ad hoc costeranno un’enormità, saranno poco efficaci e
lasceranno amarezze (geo) politiche disintegratrici. Mi chiedo che senso abbia. Ma la risposta è che gli elettori, particolarmente in
Francia e Germania, se ne infischiano dell’Europa e sentono solo l’interesse nazional-protezionista. Pertanto l’idea che gli Stati principali
facciano il grande passo di unire sul serio il continente, dandogli un governo
unico ed una moneta più amichevole è puro irrealismo.
Per questo dobbiamo accontentarci dell’Europa così come è.
Ma così come è, alla fine, si dissolverà. Attenzione.
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